A come Arteta

Rieccomi qua. Una di queste sere, tra il caldo torrido da sopportare e la stanchezza post-lavoro, pensavo a quanto avessi di nuovo bisogno di uno spazio tutto mio per esprimere ciò che penso e sento riguardo la mia squadra del cuore: l’ Arsenal.

C’è stato un momento in cui la fiamma era fioca. Mi sentivo spaesato, senza punti di riferimento. Facevo una terribile fatica ad essere “connesso” con il club. Vedevo tutti come estranei. Dirigenti, allenatori, calciatori, tifosi. Estranei. Non era quello l’ Arsenal di cui mi ero innamorato. L’ addio di Arsène Wenger ha probabilmente giocato un ruolo chiave. Il custode dei valori del club allontanato da tifosi e proprietari. Non nascondo di essermi seriamente chiesto se l’ Arsenal mi avesse catturato lo stesso se le strade tra il club del North London e del vate transalpino non si fossero incrociate. Ho seguito con impegno, più che passione, tutto il seguito. Facce nuove che poco mi sono andate a genio. Ai miei occhi l’ Arsenal era diventato un club come tanti, non aveva più nulla di speciale, nulla che m’ inorgoglisse. Devo aver provato qualcosa simile alla crisi del settimo anno per le coppie. Ero insoddisfatto perchè dall’ altra parte non vedevo nessuno in cui potessi rispecchiarmi, nessuno rappresentasse la mia visione del calcio, della vita e dei valori del club stesso. Unai Emery ha incarnato tutto ciò. L’ emblema dell’ estraneità. Tutto ciò che è accaduto dopo 6 maggio 2018 (fino al punto in cui i dirigenti sono rinsaviti e hanno parzialmente rimediato ai disastri combinati) non è stato Arsenal, e ciò mi ha allontanato. Vittorie, sconfitte, gioie, legame verso i calciatori: tutto appiattito, saturo. Vivevo di passato, di highlights di vecchie partite, stralci di vecchi articoli, flashback, robe da passato remoto, finchè un giorno non è arrivato Arteta e con lui il ritrovato entusiasmo.

Credevo in Mikel Arteta da ben prima che Pep Guardiola gli facesse da chioccia. Era chiaro che il basco avesse il gene del coach sin da calciatore. I centrocampisti “vedono” il gioco da una prospettiva differente da tutti gli altri calciatori in campo, specialmente se chiamati ad eseguire compiti che stimolino particolarmente la corteccia parietale. Intelligenza quindi, poi leadership (capitano all’ Arsenal e all’ Everton), capacità comunicativa ed una formidabile formazione infantile iniziata nell’ Antiguoko (perla del calcio giovanile spagnolo) e proseguita a La Masia. Senza alcun dubbio lo avrei scelto come successore di Wenger, pur non avendo all’ epoca alcuna esperienza di coaching, ma i giochi di potere all’ interno del boardroom hanno fatto sì che la scelta più giusto per il club sia stata rimandata di qualche anno.

L’ Arsenal, tutt’ oggi dopo due stagioni e mezza, è ancora un cantiere in costruzione. Le vittorie in FA Cup e Community Shield sono state l’ effetto placebo per l’ intero ambiente, pur creando false aspettative in chi credeva che il solo cambio d’ allenatore servisse a girare la chiave e far tornare i Gunners bullonati al tavolo delle grandi d’ Inghilterra ed Europa. Mikel, parte di un team che comprende il nuovo direttore sportivo Edu Gaspar, il direttore delle operazioni calcistiche Richard Garlick, il responsabile del settore giovanile Per Mertesacker ed il proprietario Josh Kroenke, è chiamato a “guidare la rivoluzione”. L’ Arsenal per tornare ad essere un club di rango ha, secondo loro, bisogno di idee. Trofei, successi e riflettori arriveranno poi. Qualcosa di molto vicino all’ Arsenal post-Highbury quando la dirigenza si affidò a Wenger nella transizione dal vecchio e nuovo Arsenal. Linea verde, investimenti mirati, valorizzazione del settore giovanili, tetto salariale rivisto, implementato l’ uso di tecnologie di ultima generazione e comunicazione che puntasse alla fidelizzazione con vecchi e nuovi tifosi.

Le radici del club ora si intrecciano attorno a figure come Bukayo Saka, Emile Smith Rowe, Eddie Nketiah (local lads provenienti dall’ academy), Ramsdale, Benji White, Martinelli, Ødegaard (capitano a 22 anni. Vi ricorda qualcuno?). Identità è forse la key word che meglio racconta l’ Arsenal post-Emery. Ricerca di una filosofia di lavoro ancora prima che di gioco. Ricorda chi sei, cosa sei e cosa rappresenti, diceva il compianto David Rocastle spiegando il perchè Ian Wright avesse scelto proprio i Gunners dopo l’ esplosione al Palace. L’ Arsenal è l’ Arsenal. More than a club, più di un semplice club che raccoglie appassionati che amano guardare undici uomini in maglia rossa e maniche bianche che corrono dietro ad un pallone.

E’ questo il club di cui mi sono innamorato da bambino. Esattamente questo. Ecco perchè è ritornata anche la voglia di condividere col mondo esterno le mie opinioni. E’ stato come risalire da un’ apnea.

Pubblicato da Massimiliano

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